11 sguardo che ha imparato a ignorare il senso della tragedia. Poco prima c’era stato l’attacco alle torri gemelle dell’11 settembre 2001 e poi la guerra in Iraq. Mi ricollegai anche al mio vissuto personale, facendo un excursus che partiva proprio dalla contraddizione tra l’immaginazione che avevo nutrito per la California, ascoltando la musica di Bob Dylan o di Crosby, Stills, Nash & Young e leggendo On the road di Jack Kerouac, e la realtà che non era riuscita a colmare quell’inquietudine interiore che mi portavo dentro. Artisticamente la narrazione fotografica lineare di questo progetto, che era la descrizione di ciò che vedevo, è parallela a quella scritta. Si tratta di una versione alternativa a un catalogo “ufficiale” in cui spiegavo cosa mi avesse portato in quella direzione. Ho parlato anche della mia esperienza lavorativa nel settore della comunicazione quando, chiusa in una stanza ascoltavo la musica e, intanto, sui monitor (ne avevo tre o quattro davanti a me) controllavo contemporaneamente i lanci delle agenzie stampa. Devo riconoscere che questo lavoro mi ha anche permesso di viaggiare molto, imparare a organizzare le diverse fasi di un progetto e non solo: in quel contesto ho avuto l’occasione di incontrare mio marito Stefano, l’amore della mia vita, che mi ha permesso di dedicarmi all’arte e con cui ho avuto due figli favolosi Marco e Sofia. Un motivo per cui sarò sempre grata alla vita. Ho anche avuto il piacere di avere come capo Luigi Torre, padre di Mattia Torre, che conobbi quando era giovanissimo e a cui sono rimasta legata da una profonda amicizia fino alla sua scomparsa prematura. Dal punto di vista pittorico qual è stato il tuo approccio nello studio della tecnica? All’inizio mi sono voluta dedicare alla tecnica pittorica fiamminga e anche a quella dei Macchiaioli. Dicevano che ero brava a riprodurre il reale, e anche un quadro antico, per me era come fare un’operazione di matematica. Certo, provavo un grande piacere nel dipingere marine, paesaggi… Sentivo che quello stato placava la mia eterna irrequietezza, ma non era ciò che cercavo. Quando ho finalmente deciso di lasciare il lavoro nella comunicazione e mi sono dedicata esclusivamente all’arte, andare ogni giorno in studio non ha cambiato le mie abitudini. Scandivo la giornata come per una qualsiasi altra professione, ma ero finalmente felice di dipingere a tempo pieno. Allo stesso tempo questa libertà mi permetteva anche, avendo una famiglia, di essere disponibile per i figli quando era necessario. Proprio la famiglia mi ha aiutata ad avere quel contatto con la realtà
RkJQdWJsaXNoZXIy MTI4OTA5