Catalogo Atmosfere sospese

12 che stando sempre chiusa in studio avrei potuto perdere. Nel tempo come si è evoluta la tua tecnica? Dopo essermi inizialmente concentrata sulla pittura ho preso le distanze dall’approccio accademico, sperimentando altre tecniche come l’utilizzo del mezzo fotografico, sempre però rielaborato al computer e contaminato con la pittura e la video arte, che accompagnava ogni progetto. Dopo una serie di progetti, tra cui D.I.O. Determina l’illuminazione e l’Oscurità (2007), in cui mettevo a confronto la presenza/assenza della simbologia positiva e negativa, Aspirazioni urbane (2013), Qui e Ora (2014) e Butterfly Effect (2014), ho provato nuovamente la necessità di «sporcarmi le mani». Usavo i colori, combinandoli successivamente con le resine e altri materiali, per ricreare quello che ero riuscita visualmente a elaborare con la fotografia. Ma sentivo di dover andare oltre. Nel frattempo frequentai a Roma un bellissimo corso professionale d’illustrazione alla Scuola di Fumetto e Illustrazione Pencil Art. Lì ho imparato che il tratto è qualcosa di unico. Una delle esercitazioni era ritrarre dal vero una modella che era al centro della sala e la cui posizione veniva cambiata ogni tre minuti. In quel poco tempo dovevamo buttar giù l’immagine di ciò che vedevamo. Copiare la realtà è una cosa che possono fare tutti, naturalmente bisogna saperlo fare, ma il tratto è qualcosa di unico e cambia da persona a persona. Sì, dovevo lasciare libertà alla mano. Un’ulteriore evoluzione c’è stata durante il lockdown, nella primavera 2020, quando ho iniziato a disegnare anche con la mano sinistra che non avevo mai usato prima. Questa libertà è stata determinante nel dare al tratto una vena ancora più creativa. Oggi disegno con entrambe le mani. Soffermiamoci sulla mostra personale Extra– urbane (2008) alla Galleria 196 di Roma, la tua prima collaborazione con la gallerista Federica Di Stefano. Un progetto nato dalle suggestioni del viaggio in Burkina Faso che hai fatto nel 2007, che è stata anche l’occasione che ci ha fatto conoscere… Tutto è partito da Bettie Petith, una straordinaria donna americana che vive a Roma dagli anni ’80 e che ha creato Fitil, una serissima associazione onlus attiva in diversi villaggi del Burkina Faso. Decisi di partire per il Burkina perché avevo solo un’idea dell’Africa, ero stata in un villaggio in Kenya, e volevo un confronto più diretto con la vita reale. Con Bettie, che è il nostro trait–d’union, ho avuto la possibilità di conoscere il

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