Catalogo Atmosfere sospese

9 Vorrei iniziare questa conversazione dalla foto in bianco e nero scattata da Tano D’Amico, che ti ritrae in versione hippie: un’adolescente con la chitarra e i capelli lunghi sciolti sulle spalle. Cosa c’era in nuce e come questa ragazzina un po’ ribelle è diventata un’artista? Sicuramente c’era la ricerca di qualcosa di non strutturato. Nel mio essere hippie, a 17 anni, c’era una libertà interiore che probabilmente è l’unica cosa che sento collegata al mio personale mondo dell’arte che ho creato in questo lungo periodo. Allora andavo sempre in giro con la chitarra, non solo quella volta. Cantare mi aiutava, così come suonare. Cercavo qualcosa fuori dagli schemi, vivendo in un mondo tutto mio. Ho sempre avuto una vivida immaginazione che mi permetteva di accettare la realtà rendendola sempre più affascinante. Andando indietro nel tempo, ricordo che da piccola mi mettevo sotto il tavolo del soggiorno, a volte lo coprivo per essere isolata, e lì sotto tagliavo la carta, la incollavo, disegnavo. La vita, poi, mi ha portata a fare altre scelte per motivi legati alla mia famiglia d’origine, ma sicuramente già allora c’era questo bisogno di andare oltre. In particolare, qual è il contesto in cui è stata scattata quella fotografia? È stata scattata nel 1977. Ero andata a manifestare contro la realizzazione della centrale nucleare a Montalto di Castro. In quell’occasione avevo partecipato con il Living Theatre a una performance teatrale intitolata La Peste. Dovevamo rappresentare gli effetti nocivi dell’energia nucleare sull’uomo paragonandoli alla peste. Sarà stato, forse, anche questo il motivo per cui Tano D’Amico si accorse di me! Poi per anni hai accantonato il lato artistico, pur percependo nella creatività un’esigenza esistenziale… L’arte, per me, rappresenta la possibilità di immergermi nei miei viaggi interiori, in quel silenzio magico fatto di assenza di spazio e tempo, e da quello che ne scaturisce che poi comunico al mondo esterno. I miei genitori non hanno mai accettato che potessi iscrivermi al liceo artistico, né all’Accademia di Belle Arti, anche se mio padre sosteneva che sin da bambina avevo una dote particolare: anche lasciata sola in una stanza vuota sapevo creare qualcosa. Nonostante ciò, voleva che studiassi Biochimica alla Berkeley University della California per inventare “l’elisir di lunga vita”. Una sostanza che allungasse la vita, la sua! Sono stata ingenua perché, forse, avrei dovuto accettare quella proposta e, una volta lì, magari mi sarei potuta dedicare all’arte. Ma non sono fatta GIUSY LAURIOLA intervista di Manuela De Leonardis

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