Catalogo Atmosfere sospese

15 14 concetto della sospensione della memoria. In quella serie sovrapponevo immagini del viaggio in Africa con altre di Roma, la mia città. Successivamente sono passata a sperimentarne l’uso sulle tele dipinte con strati di colori ad olio, come nelle opere della mostra bipersonale Sei gradi. Un istante (2009), sempre alla Galleria 196, rendendomi, però, subito conto che controllare questa materia era difficilissimo. Con queste opere, nel 2010, sono stata invitata dall’Istituto Italiano di Cultura di Damasco per una personale al Centro Culturale Arabo Aburemmaneh e a partecipare anche al Simposio d’arte al Museo Archeologico Ma'rat AlNoaman di Idlib. Nel tempo ho continuato a fare sperimentazioni, cercando la resina che fosse più adatta alle mie esigenze: l’intuizione è arrivata quando mi sono resa conto che avrei potuto «parlare» con l’elemento che utilizzavo, assecondandolo. Lasciar reagire la resina sull’olio, piuttosto che imporle un utilizzo forzato, poteva diventare addirittura un punto di forza. Liberare il tratto, oltre che la resina, è stato un ulteriore passaggio a cui sono arrivata anche grazie a un periodo in cui ho meditato assiduamente. La pratica meditativa mi ha aiutata a rimanere centrata e a far uscire una parte di me attraverso il tratto stesso. Non è un caso che nel 2018, la prima mostra dopo questo periodo di sperimentazione, l’abbia intitolata Iosepha che poi era il modo in cui, al liceo, mi chiamava la mia professoressa di latino. Giuseppina in latino è Iosepha. Una mostra in cui presentavo solo figure femminili. Non che, in precedenza, non avessi lavorato sul tema del femminile, ma questo particolare progetto era il racconto di me in un modo molto delicato e anche trasfigurato. La donna che rappresentavo era quasi irraggiungibile. Una donna che si mostra nascondendosi. Ho ripreso questo tema anche in un progetto successivo, dove i soggetti sono una donna con una bambina: due figure che si parlano. Si tratta ancora di un lavoro molto introspettivo, ma a quel punto sentivo di essermi liberata completamente. Non avevo più bisogno di raccontare, potevo finalmente «entrare» nelle opere che sognavo di realizzare. Questo percorso introspettivo, come dicevi, si riflette effettivamente nell’uso molto più libero della resina… Nel progetto Iosepha usavo tele bianche con la resina che lasciavo interagire con il colore. La realizzazione era difficilissima, perché lavorando d’istinto non sempre riuscivo a non sporcare le tele che dovevano rimanere immacolate. Quanto alla trasparenza era importante anche per il suo ambivalente significato simbolico. Rapportata agli individui, mostra l’esistenza di persone «trasparenti» in senso positivo ma anche negativo. Persone che possono essere così trasparenti quasi da non esistere, oppure da arrivare ovunque. È anche la storia di mia madre, e di tante altre donne, che nonostante avesse una grande forza interiore non ha avuto quella capacità di urlare, di farsi sentire e di realizzarsi nella vita, oltre che come madre e moglie. Ricordo un bellissimo film, Memorie di una geisha, in cui la protagonista afferma «l’acqua si scava la strada attraverso la pietra, e quando è intrappolata si crea un nuovo varco». La resina è liquida come l’acqua e all’origine è trasparente. C’è un legame, ovviamente, tra l’acqua, la resina e la figura femminile. Queste donne, che io chiamo “liquide”, rappresentano sia fragilità e dolcezza che sensualità e forza. A proposito di forza nel libro di Guido Levi Una storia piena di paure, di ansie e di avvenimenti quasi gialli 1942-1946 (2021), a cui abbiamo collaborato, hai affrontato la storia della fuga in Svizzera di un bambino ebreo e della sua famiglia per salvarsi dalle persecuzioni nazifasciste… Nonostante la drammaticità di quel terribile periodo, le pagine del diario che ho scelto per le mie tavole hanno sempre uno sguardo poetico. Guido Levi era un bambino di 4 anni che, a Genova, viveva una vita serena. Ma un giorno del 1942 si svegliò nel suo letto caldo e accogliente con i boati delle bombe. Era scoppiata la guerra! Il diario inizia proprio con le bombe degli alleati sganciate sul porto di Genova e prosegue con la fuga, insieme alla famiglia ebrea, per sfuggire alle persecuzioni nazifasciste, di città in città fino a trovare la salvezza in Svizzera. Ho realizzato 12 tavole in cui ho cercato di interpretare la storia con gli occhi di un bambino che riesce, comunque, a cogliere gli aspetti lirici. Anche nelle storie terribili c’è un filo di ottimismo, uno sguardo poetico che voglio mantenere per cercare di trovare sempre una soluzione positiva anche nel dolore. Nelle tue opere più recenti le figure umane perdono consistenza fisica, diventando sempre più eteree. Come si collocano all’interno dei grandi paesaggi che Guido Levi, Una storia piena di paure, di ansie e di avvenimenti quasi gialli, 1942–1945, libro illustrato da Giusy Lauriola

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