In biblioteca, quando alzavo la testa dai libri per stiracchiarmi o massaggiarmi il collo, avevo notato un ragazzo molto carino che mi osservava. Scoprii in seguito che si trattava di un ricercatore norvegese. Per giorni continuava lo scambio di sguardi con lui, che adesso aveva preso l’abitudine di sedersi davanti a me. Era alto, con capelli chiari che scendevano sulle spalle e aveva uno sguardo ed un sorriso dolcissimi. Mi piaceva proprio tanto ed aspettavo con un lieve palpito il suo arrivo la mattina. Quando finalmente riuscimmo a rompere il ghiaccio, non smettemmo più di parlare. Letteratura, antropologia, il mondo, ogni argomento ci coinvolgeva ed avevamo così tanto da dirci. Abbiamo intrapreso una love story intellettuale fatta di passeggiate, panini e coca-cole, mani intorno alla vita. Quando stavamo insieme sentivo di essere nel posto giusto con la persona giusta. Sesso neanche a parlarne, anche se capivo che c’eravamo molto vicini. Il tempo trascorse velocemente e con lui il British Museum Library e il ricercatore norvegese, perché dovevo, mio malgrado, tornare a Roma. Tuttavia il ricordo di quel periodo in cui vagavo dallo studio al gioco sensuale, dalla percezione di possedere qualcuno alla consapevolezza del contrario non mi ha mai lasciato. La tesi l’ho redatta e finita velocemente. Ero in gran sintonia con la docente di letteratura inglese, Nadia Fusini con cui avevo deciso di laurearmi. Una donna veramente speciale. Mi ha conquistata (non ci vuole poi tanto) ad un esame su Amleto, che avevo studiato benissimo e forse troppo. Mi colpì la sua prontezza di spirito sulle mie trovate sempre un po’ Morettiane quando le dissi “Ma scusi, questo Amleto che noia, un po’ di sano femminismo lo vogliamo evocare? Non vuole lasciare che quella povera madre abbia una storia con chi le pare! Eh basta! Non solo non riesce lui ad agire (sapete la storia essere o 23
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