non essere questo è il dilemma che lo imprigiona nel pensiero antitesi dell’azione), tanto che qualsiasi decisione, anche la morte, gli arriva dall’esterno, ma, vuole coinvolgere anche gli altri! I soliti uomini! La Fusini, invece di pensare che fossi un po’ fuori, ci ha riso su e io, con un tono molto rilassato, ho continuato allegramente a discorrere dell’esame in questione che mi è valso un bel 30 e lode. Come faceva a non conquistarmi… Il titolo della tesi fu “Thomas De Quincey e Immanuel Kant: viaggio tra morte-sogno-oppioparola”. Sicuramente particolare. Si poteva supporre che fosse stato redatto da una ex tossica o da una fan del film Harold & Maude! Quando sono andata a discuterla ero verde dalla paura e notavo una certa discrepanza tra il mio stato d’animo e quello disegnato sui volti dei docenti che mi dovevano ascoltare: chi leggeva, chi guardava in alto, chi sbadigliava. Ma come, io mi ero impegnata così tanto in quel lavoro! Appena seduta, alla domanda del perché avevo scelto un argomento del genere ebbi un’altra delle mie ispirazioni Morettiane (prima o poi dovrò conoscerlo personalmente): “chi fra voi se ne avesse la possibilità non morirebbe sapendo di poter tornare in vita?” - Silenzio inquietante e poi risate. Ero riuscita ad attirare la loro attenzione - “ Bene questo è quello che Thomas De Quincey ha fatto imbottendosi di laudano dopo le innumerevoli morti che lo hanno trafitto”. Poi ho cercato di spiegare come avevo sviluppato la tesi, in particolare ho raccontato che il pensare continuamente alla morte avrebbe potuto essere considerato paura, debolezza, una fuga dal mondo, ma per De Quincey (e per me) coincideva con il chiudersi della vita. Non solo, ma rendere quotidiana la morte è comprenderla, nel senso di comprendere la possibilità che possa sempre accadere. Anticipare la morte con le morti apparenti raggiunte da 24
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