NOTA INTRODUTTIVA di Sergio Rispoli Le immagini forniteci dai mezzi di comunicazione di massa, scaricate nella miscellanea dei network e consegnate all’incalzante obliterazione della logica commerciale, finiscono fatalmente per darci del mondo un volto superficiale, effimero, estraneo. Il volto di un mondo improbabile, dove il dolore s’intreccia con il benessere e la guerra con l’edonismo in rapide sequenze pubblicitarie. Del resto le immagini dei media virtualizzano il reale e lo collocano in un contesto che arriva a manipolarlo, a sterilizzarlo, a svuotarlo, a trasformarlo in una fiction, dove anche l’orrore rientra negli effetti speciali fino a diventare distante e inoffensivo. Di fronte a queste immagini, i nostri sentimenti sono correlativamente virtuali. Partecipiamo al dramma umano che ci viene proposto dai media con la stessa emozione destinata all’intrattenimento e allo spettacolo, un’emozione ad intensità indifferenziata, artificiale, alimentata dalla cultura dello zapping. E poi chi sceglie le immagini? Noi non possiamo farlo: sono già scelte per noi. Non siamo liberi di orientare il nostro sguardo, non decidiamo noi dove guardare. Ma tale scelta obbligata, imposta dai mezzi d’informazione, non è anch’essa una manipolazione? Non è di per sé uno specchio deformante del mondo, che riflette scorci settari di un’attualità di consumo, resa indistinta e irriconoscibile dallo shakeraggio del calderone mediatico? Tuttavia, in fondo, tutto questo non ci preoccupa così tanto. Se invece di visionare quotidianamente il sangue delle stragi in Medioriente ce ne si of- 4
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