Capa. Ci sono dubbi sull’autenticità di questa foto, che induce a pensare a una messinscena davanti all’obiettivo. In realtà i “miliziani morenti”, che posarono per Capa erano due. Uno di loro fu identificato come Federico Borrell Garcìa, giovane operaio caduto sul fronte di Cerro Muriano il 5 settembre 1936. Del secondo non si sa il nome, né c’è certezza che sia davvero morto. “La fotografia non dice (per forza) ciò che non è più, ma soltanto e sicuramente ciò che è stato” – aveva scritto Roland Barthes nel saggio “La camera chiara”. Essenza della fotografia è di ratificare ai nostri occhi ciò che essa ritrae. Per la sua vocazione documentaria è come Cassandra, ma che predice il passato. Può essere tendenziosa o usata in modo tendenzioso, ma non può mentire sul senso della cosa che rappresenta. La sua forza è superiore a tutto ciò che può concepire la mente per darci conferma della realtà, perché la fotografia è diventata lo specchio del mondo, piatto e bidimensionale. “Nella fotografia, la presenza della cosa (in un dato momento passato) non è mai metaforica e, per ciò che concerne gli esseri animati, non lo è neppure la sua vita, a patto di non fotografare dei cadaveri; e inoltre: se la fotografia diventa in tal caso orribile, è perché certifica, se cosi si può dire, che il cadavere è vivo come cadavere: è l’immagine viva di una cosa morta”. Nella vita ho guardato milioni di immagini, fra esse migliaia rappresentavano una guerra o le cose che essa porta con sé: i morti, i feriti, le città in rovina, le torture, le menomazioni. Sempre le ho guardate a causa della mia professione, anche se spesso mi lasciano indifferente a causa dell’abitudine di vederle quotidianamente in una poltiglia mediatica. “Le fotografie del giornale possono benissimo non dirmi niente” – aveva detto Sartre. “La fotografia mi può lasciare in un tale stato di indifferenza che nemmeno effettuo la “messa a fuoco” – condi- 42
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