ci passa davanti ormai quotidianamente, mi viene in mente il quadro del Carpaccio “Duello di San Giorgio e il drago”, del 1502. Rappresenta un campo di battaglia con il cavaliere e la bestia alata. In mezzo, per terra, ci sono i resti delle vittime innocenti: i cadaveri, i pezzi di gambe e di braccia, i teschi e le ossa. L’avevo chiaro in mente quando guardavo sul giornale le foto dell’11 marzo 2004. Il treno dilaniato dall’esplosione, i resti umani sparsi ovunque, catapultati a decine di metri di distanza, lungo i binari. Quel quadro è per me un’icona metaforica, legata alle notizie degli attentati o alle foto che, in una maniera più o meno vaga, me li fanno vedere. I massacri di Baghdad, di Nassiriya, di Riad, di Cassablanca, di Bali, di Jerba, di Istambul, di Mosca. Gli edifici sventrati da una bomba o dall’auto dei kamikaze. Vedo la macabra scena del Carpaccio ogni qual volta i martiri palestinesi imbottiti di tritolo si fanno saltare negli autobus, nei ristoranti, nei centri commerciali israeliani. Ma la vedo anche quando si tratta di rappresaglie contro i terroristi, come nella foto di Ahmed Jadallah, dove in primo piano giacciono i corpi deflagrati nel campo profughi di Jabalya a Gaza. “Occhio per occhio, dente per dente” – questa è la barbarie contemporanea, sbattuta giorno per giorno in prima pagina. “Il lato stupefacente di questa impresa è che ogni capo degli assassini invoca solennemente il proprio dio, prima di andare a sterminare il prossimo. Poi esibisce ì morti come la misura del proprio trionfo.” – scrive Voltaire. E’ pratica vecchia come il mondo esibire le teste mozzate del nemico. Serve ad umiliarlo e a farlo imbestialire, per alzare il livello dello scontro. Di scene agghiaccianti ne abbiamo viste tante negli ultimi tempi. Il vilipendio dei cadaveri dei marines, i resti carbonizzati degli americani appesi al ponte di Falluja, le esecuzioni sommarie degli ostaggi occidentali, gli operatori civili sgozzati davanti alle tele- 46
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