Fotofestiwal Internazionale di Lodz – maggio 2006
POLITICHE DI PACE
INTERVISTA A GIUSY LAURIOLA
di Agnieszka Zakrzewicz
Agnieszka Zakrzewicz: Il tuo grande affresco fotografico “Cambialamore”, la striscia plotterizzata di 30 metri, che sarà esposta a Lodz nella quinta edizione del Festival Internazionale di Fotografia (18-21 maggio 2006), dopo che fu presentata a Roma nella galleria Salon Privé Arti Visive nell’ottobre 2004, inizia con un’immagine in cui c’è una scritta che mi incuriosisce molto: “WELCOME TO BRIDGE TO HELL”. Perché questo messaggio? Qual è stata la logica di mettere insieme tante immagini che si susseguono in maniera cosi inquietante?
Giusy Lauriola: Tutte le immagini che fanno parte della striscia “Cambialamore” le ho estrapolate da vari mass media: giornali, televisione, internet, e poi le ho elaborate al computer. Anche se con il mio intervento sono diventati “computer-pittura”, si tratta di autentici frammenti di realtà, fermati da macchine fotografiche e videocamere. Sono immagini che abbiamo visto tutti. Nel mio affresco passa davanti ai vostri occhi il mondo vero. Queste immagini le ho usato anche nel mio videoclip. La prima immagine, con la scritta “WELCOME TO”, in inglese ed in arabo, è la fotografia di un cartello stradale all’ingresso della città di Baghdad. Mi piaceva usare questa foto come inizio del mio racconto di tutto ciò che è successo negli ultimi anni. Ma dietro al cartello stradale non c’è più Baghdad, c’è invece il segno del dollaro. La seconda fotografia rappresenta tre ragazzi di colore che aspettano davanti ad una baracca con la scritta “Il ponte per l’inferno”. Benvenuti all’inferno della guerra, della povertà, della sofferenza, questo è il messaggio della prima sequenza di “Cambialamore”.
A.Z.: Nel tuo lavoro usi sempre il contrasto. Anche nell’affresco abbiamo contrasti fra la sofferenza e l’edonismo, fra il terribile e l’ironico…
G.L: Si, il mio racconto continua con l’immagine di una famosa comica italiana che apre le braccia in gesto di benvenuto, ma subito dopo c’è una macchina con i soldati americani sul tetto che guardano le esplosioni del bombardamento di Baghdad. C’è l’immagine dell’attacco al WTC, ma fra le due torri che bruciano ho messo una faccia con il passamontagna. E’ il volto oscuro del terrorismo. C’è anche una figura umana che salta in aria per la forza dell’esplosione di una mina. Tutto ciò viene unito da una pennellata rossa, una scia di sangue, il comune denominatore della guerra e del terrorismo. Nella terza sequenza ho messo insieme una foto di una pompa di benzina in disuso, una pubblicità americana con la scritta “Champion” e un graffito murale con la scritta “KGB” con la falce e martello. Però, l’osservatore più attento si accorge che nello stemma sovietico, al posto del martello c’è un bicchiere di champagne. L’ironia dell’accostamento mi ha portato a riflettere sulla caduta del Muro di Berlino, che segnò la fine della guerra fredda e dell’Unione Sovietica, sulla scarsità di petrolio che è il combustibile dell’economia mondiale, sull’America che oggi è l’unica potenza che governa il pianeta. Fra le varie foto di guerra che ho elaborato, mi pareva giusto inserirne anche una di un uomo che ride esultante di gioia. La sua bocca, dopo il mio intervento al computer, mostra due canini dai quali sgocciola il sangue. Quel vampiro ci ricorda che esistono persone che traggono beneficio dalla guerra o che godono in maniera sadica alla vista della sofferenza. Ma a parte i vampiri, ci sono milioni di altri individui che semplicemente rimangono indifferenti. In “Cambialamore” ho voluto raccontare ed illustrare questa indifferenza. In rete girava una fotografia scattata davanti al negozio di un gioielliere romano che aveva esposto un cartello: “FOR TOURIST: NO PARKING HERE PLEASE. X TUTTI L’ARTRI: AVETE ROTTO ER CAZZO……”. Quel messaggio rozzo e becero con cui quello là si rivolgeva all’umanità è proprio l’essenza dell’indifferenza che c’è in ognuno di noi. Ci importa solo del nostro piccolo mondo, il resto può andare al diavolo. Nella mia striscia ho messo anche un’altra foto curiosa pescata sempre su internet. Quando cominciò la guerra in Iraq, tante persone esposero alle finestre le bandiere arcobaleno con la scritta “PACE”, ma qualcuno si è divertito a cambiare la parola pace con la parola “FIGA”…
A.Z.: In questo affresco fotografico, il dolore umano è contaminato dall’edonismo di una società che non soffre. Ne risulta un luogo unispaziale di coesistenza paradossale fra la tragedia di un’umanità martoriata e l’indifferenza di chi ha imparato a chiudere gli occhi davanti alla sofferenza degli altri…
G.L.: Voglio sottolineare che nel mio lavoro ho usato fotografie che abbiamo visto quasi tutti, sui giornali, alla televisione, nel web. Foto di guerra, ma anche immagini pubblicitarie accanto ad articoli che trattavano della guerra in Iraq o in Afghanistan. Quando, nel 1989, ho iniziato a lavorare a Roma (in cui sono nata e cresciuta) in una grande azienda italiana per lo spazio e la difesa, come addetto stampa, avevo preso l’abitudine di raccogliere le immagini che maggiormente attiravano la mia attenzione. All’epoca lo facevo senza uno scopo preciso, ma le conservavo con la netta sensazione che prima o poi a qualcosa mi sarebbero servite. Adesso ho usato questo metodo di collage che dà la possibilità di vedere tutto insieme. Perciò nella mia striscia di 30 metri c’è una bella modella che assomiglia tanto a Marilyn Monroe (la personificazione del nostro edonismo) e c’è uno sciita iracheno che si flagella a sangue, ma anche un macellaio napoletano che lo guarda attonito, e un palestinese che mostra la maglietta insanguinata di un amico ucciso. Accanto a questo si vede una ragazza occidentale seminuda, poi le donne sciite con il chador e le donne afgane coperte dal burqa. Ho voluto inserire anche una fotografia di due bionde che lussuriosamente si toccano con le lingue, vicino ad un’altra di missili nel momento del lancio. Questo accostamento è una chiara allusione erotica. Ho insistito cosi tanto sulle immagini delle donne in burqa, perché il contrasto fra la nostra cultura e la sottomissione delle donne musulmane fu molto evidenziato dai media all’epoca della guerra in Afghanistan. Oggi di questo si parla meno. In quel grande collage ho voluto mettere anche la mia foto personale, mentre faccio la linguaccia. E’ un altro simbolo dell’indifferenza, di sbeffeggiamento verso questo mondo.
A.Z.: Questo metodo di accostare le immagini in un collage permette di creare un nuovo significato semiologico, di dare un messaggio con diverse chiavi di lettura. In un’altra sequenza di “Cambialamore”, c’è una fotografia molto famosa che ha fatto il giro del mondo. Si tratta di una donna con il chador che cammina lungo il muro dov’è dipinta la statua della libertà con un teschio al posto della faccia. Ma tu ti sei spinta oltre, creando attraverso l’accostamento delle altre fotografie un significato politicamente scorretto.
G.L.: Questa fotografia è stata scattata in una via iraniana e ci fa capire come il mondo musulmano vede l’America e l’Occidente. La libertà con la faccia della morte. Io ci ho messo dietro una pubblicità americana (un bel sedere femminile con i pantaloncini di jeans strappati). E’ la nostra rappresentazione del mondo. Ho inserito anche un’altra fotografia molto buffa, un ragazzo africano che sui suoi glutei aveva appiccicato due decalcomanie della Shell. Lui lo aveva fatto per abbellimento, per me è un simbolo della colonizzazione economica occidentale. Il mio racconto continua con una foto di guerrieri indigeni con le lance, accostata alla foto di soldati armati fino ai denti, che puntano le pistole contro dei bambini-soldato. Quei visi neri e arrabbiati dei piccoli guerrieri con i kalasnikov contrastano con i visi bianchi e sorridenti dei nostri bambini. Il mio messaggio è politicamente scorretto? Ho preso una pubblicità della cioccolata dallo slogan invitante e l’ho cambiato. “Il sangue è naturale. Ciò che è naturale fa bene. Fatevi bene”. L’immagine che segue è particolarmente dura, perché è l’elaborazione della fotografia scattata a una manifestazione di kamikaze palestinesi, ci sono anche i resti di uno di loro che si è appena fatto saltare. Sequenzialmente ho anche inserito la fotografia di bambine irachene che venivano ammanettate dai soldati americani. Questa foto aveva fatto discutere tanto in Italia, perché non si capiva che cosa esse avessero potuto fare. Il seguente tassello del mio collage è composto da altre due foto: un caccia americano ed un bambino con la fronte insanguinata colpito nel bombardamento. Anche la successiva sequenza è politicamente scorretta. Su internet avevo trovato la foto di una manifestazione pacifista, dove c’era questo cartello in inglese: “Noi appoggiamo i vostri sforzi di pace”. Io ho cambiato la parola “peace” in “piss”, che nonostante l’assonanza fonetica ha tutt’altro significato. Subito dopo seguono le sconvolgenti immagini delle torture compiute sui prigionieri in Iraq, pubblicate a suo tempo da tutti i giornali del mondo. Nella striscia ho inserito la fotografia del soldato inglese che urina su un prigioniero legato (la cui veridicità fu messa in discussione) e anche la fotografia del prigioniero incappucciato ad Abu Ghraib. Questa foto è diventata un’icona mediale, chiamata spesso con l’ironia “la statua della libertà”. La sequenza si chiude con la celebre immagine della conquista americana della Luna, con la foto di un elicottero Apache e di soldati assieme con donne afgane velate. L’ultima scena di questo lungo affresco fotografico, che in realtà è un affresco della storia contemporanea, si chiude in maniera più ottimista. C’è una coppia su una terrazza, lui guarda il tramonto, lei le immagini della striscia, come se guardasse il passato. Da qui nasce il titolo “Cambialamore”, che può avere molte chiavi di lettura, ma ha un forte messaggio: “dobbiamo cambiare”…
A.Z.: Tu dichiari sempre che la chiave di lettura delle tue opere è il contrasto. Parlando del tuo lavoro usi anche l’espressione “arte sociale”. Che cosa vuoi dire con questo? G.L: Il contrasto è la chiave del mio lavoro. Ho iniziato a usare il contrasto da quando nel 2004, in occasione del 4° Forum dell’Alleanza Mondiale delle Città contro la Povertà, al Palazzo dei Congressi a Roma, ho realizzato delle opere per la fondazione Terre des Hommes Italia Onlus. Nei miei quadri fotografici su plexiglas che ritraevano le strade di Roma, gli sguardi di bambini di aree colpite dalla fame e dalla guerra erano stati inseriti su grandi cartelloni pubblicitari. La mostra al Palazzo dei Congressi di Roma fu per me la prima occasione di un lavoro sul rapporto con l’altro, e in particolare sulla sofferenza degli altri, sulla povertà del terzo mondo. Nella mostra “Ciò che vuoi è ciò di cui hai bisogno?”, svoltasi nel aprile 2006, in collaborazione con la Caritas romana, ho messo in contrasto i nostri apparenti bisogni quotidiani con le vere necessità della gente che soffre la fame e la sete. Per esempio, in uno dei quadri esposti ho dipinto sul plexiglas il logo della Coca Cola accanto a una fontana. La mostra è stata abbinata ad un’asta, e i ricavi devoluti per la costruzione di una casa per i senzatetto. Per me questa è “l’arte sociale”, che da una parte tocca i problemi della povertà, guerra, fame, discriminazione, cioè i veri problemi del mondo, e dall’altra, attraverso un agire artistico e creativo, cerca di dare un piccolo contributo alla loro soluzione. Adesso ho in programma un grande progetto “Roma-Africa”, dove userò varie tecniche: quadri, video arte, produzione multimediale, per avvicinare attraverso il mio lavoro i problemi del continente africano ai cittadini di Roma.
Agnieszka Zakrzewicz giornalista della Stampa Estera Roma, aprile 2006
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